Prodotti gastronomici tipici della Toscana
Prodotti gastronomici tipici della Toscana
La Toscana è una terra ricca di specialità culinarie. Vediamo insieme alcuni prodotti tipici dalla mia bella regione e che potrete gustare durante il vostro soggiorno a La Scuola di Furio. Ricordatevi che io, mio fratello, i miei genitori e i miei nonni siamo nati in Toscana, quindi Walter e io ce ne intendiamo e siamo sempre disponibili se volete un consiglio prima di un acquisto di un prodotto alimentare tipico toscano.
CASTAGNE
Storia e zona di raccolta
Gli alberi del castagno sono antichissimi, risalgono a circa 10 milioni di anni fa e anche longevi. Sono piante eliofile, che amano i climi temperati, pur sopportando freddi invernali anche molto intensi. Sono alberi bellissimi, ma a noi piacciono anche e soprattutto perché i loro frutti sono lucidi, marroni, buonissimi, protetti da un riccio spinoso, le castagne! Le castagne contengono grandi quantità di amido, grassi e protidi, hanno un alto potere nutritivo. L’importanza storica del castagneto da frutto è immensa e ha rappresentato per secoli e fino agli anni ’50 del 1900 la principale fonte alimentare delle comunità montane. Uno dei segnali dell’arrivo dell’autunno in Toscana è la comparsa di castagne e marroni. Il marrone è contraddistinto dal colore più rossiccio, dalla pezzatura più grossa (circa 80 pezzi per kg), dalla forma ovaleggiante e dal minor numero di frutti per riccio (2-3 al massimo). La denominazione Marrone fiorentino (detto anche Marrone casentinese o più genericamente Marrone toscano) riguarda un gruppo di varietà di castagno di alta qualità. Da non confondersi i marroni di questo gruppo con il Marrone di Marradi, nel Mugello. Altre aree di coltivazione sono il Casentino, il Parco Faunistico del Monte Amiata (qui la castagna è certificata come IGP) e la Lunigiana.
Commercializzazione e Gastronomia
Le castagne in commercio si trovano fresche, lessate (ballotte), arrostite (caldarroste o a Fucecchio, fruciate), secche, cotte in sciroppo di zucchero (i marron glacé), candite e in farina dolce, da cui si ricava il profumatissimo castagnaccio. Ricordo di aver comprato dei deliziosi marron glacé presso Cioccolato Cavalsani, in via Fillungo, 8 a Lucca.
CIPOLLA
Uno dei prodotti della Toscana più famosi è la Cipolla di Certaldo, dal nome del Comune della Valdelsa famoso anche per ospitare ogni estate (solitamente e luglio) una suggestiva rassegna di teatro di strada per le vie del centro storico (Certaldo Alto), Mercantia. La cipolla di Certaldo è una cipolla rossa di gusto dolce, dalla forma rotondeggiante, un po’ schiacciata ai poli. La qualità "statina" si consuma fresca a maggio (sono cipollotti), mentre la "vernina" si raccoglie a fine estate. Addirittura Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone (Il Decamerone è una raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo, che è considerata una delle opere più importanti della letteratura del Trecento europeo. Il libro narra di sette donne e tre uomini che per dieci giorni si vanno a vivere fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle, di taglio umoristico e salaci. Queste novelle offrono un affaccio sulla vita delle persone appartenenti ai vari strati sociali del tempo) scriveva: "Certaldo, come voi forse avete potuto udire, è un castello di Val d'Elsa posto nel nostro contado, il quale, quantunque picciol sia, già di nobil uomini e d'agiati fu abitato. Nel quale, per ciò che buona pastura si trovava, usò un lungo tempo d'andare ogn'anno una volta, a ricogliere le limosine fatte loro dagli sciocchi, un de' frati di Santo Antonio, il cui nome era frate Cipolla, forse non meno per lo nome che per altra divozione vedutovi volentieri, con ciò che quel terreno produca cipolle famose per tutta la Toscana". La cipolla è protagonista di uno dei miei piatti preferiti, la "francesina", uno stufato di (poca) carne e (tanta) cipolla.
CORBEZZOLO
Il corbezzolo è un piccolo albero da frutto tipico della macchia mediterranea, che si trova anche selvatico nelle zone dove il clima è meno rigido. È da sempre un arbusto molto diffuso. Il suo nome scientifico é “Arbutus unedo”. “Unedo” deriva dal latino “unum edo”, ovvero “ne mangio uno”! Almeno questa fu la definizione data da Plinio il Vecchio, che intorno al 50 a.C. ne consigliava un uso moderato. Il frutto del corbezzolo è una bacca tonda di color rosso acceso con delle escrescenze sulla superficie esterna. Ha polpa gialla e un sapore leggermente acido, abbastanza insolito. I frutti si possono mangiare freschi (pochi alla volta però, la presenza di molte sostanze attive può causare dolori allo stomaco, ricordiamoci di Plinio il Vecchio!) per mantenere al meglio la vitamina C e la vitamina E, sotto spirito, canditi o ci possiamo preparare una buona marmellata...
FARRO
Storia e zona di produzione
Già nel 5.000 a. C. Assiri ed Egizi si cibavano di farro che è sicuramente ancora più antico. In Italia era in uso all’epoca degli Etruschi e dei Romani. Il farro è il precursore del frumento (duro e tenero), che nel corso dei secoli si rivelò più facile da coltivare e con maggiori rese, tanto che si diffuse fino a sostituirlo. Adesso è tornato di moda e si coltiva anche Toscana, specialmente in Garfagnana in una fascia altimetrica che varia tra i 300 e i 1000 metri sul livello del mare. Il Farro della Garfagnana è un prodotto che ha ottenuto il riconoscimento europeo di Igp - Indicazione geografica protetta.
Commercializzazione e Gastronomia
Si consuma in minestre, zuppe e insalate. Io apprezzo in particolar modo l'insalata che si trova fra gli antipasti misti di unno dei miei ristoranti preferiti in Toscana, Benito, a Orentano, Castelfranco di Sotto. Come spesso accade nella cucina toscana, la chiave è la semplicità: farro buono, i pomodori buoni, la cipolla buona, poco sedano (buono), un pizzico di sale marino, il tutto condito da olio extravergine di oliva.
FUNGHI
I funghi raccolti da mio cugino Massimo durante una delle sue spedizioni segrete
Con tutti questi boschi, ci sono i funghi in Toscana? Certo che ci sono! Le zone preferite dai chi cerca funghi (anche se il vero fungaiolo è MOLTO riservato sui suoi posti precisi e, geloso, non li condivide facilmente) sono l’Appennino Pistoiese, la Lunigiana, le Colline Fiorentine, il Casentino, il Grossetano e il Valdarno. Chi desidera andare per funghi deve prima avere l’autorizzazione delle Regione Toscana, che rilascia un patentino. Non è ammesso raccogliere più di tre chili di funghi al giorno (dieci per chi sta in montagna). È bene avere l’attrezzatura adatta: scarpe antiscivolo, borraccia e cesto in vimini (da usare così i funghi raccolti possono disseminare sul terreno le spore per favorire il raccolto l’anno successivo. Gli esperti consigliano di avventurarsi alla ricerca dei funghi 12-14 giorni dopo un’abbondante pioggia (meglio se intanto è tornato a splendere il sole). Altro consiglio, andare la mattina presto (se non altro per battere sul tempo gli altri fungaioli) e qualcuno giura che con la luna calante si trovino più funghi. Una volta sul posto, altre, semplici regole di comportamento. Tenere gli occhi bassi, vicino alle radici dei castagni, luogo prediletto dai preziosi porcini, ma non trascurare nemmeno cosa c’è sotto lecci, faggi e abeti. Tratteniamoci dal cogliere funghi troppo piccoli e non limitiamoci ai famosi porcini! Cerchiamo anche ovoli (perfetti in insalata o al cartoccio), le mazze di tamburo (squisite alla griglia) e i gallinacci (con sui fare un sugo della pasta strepitoso). La prudenza non è mai troppa. Chi è alle prime uscite è bene che si rivolga all’apposito ufficio della Asl locale, in grado di identificare con certezza le specie edibili.
GINEPRO
Il ginepro è un arbusto che cresce dal livello del mare fino a circa 1500 mslm. In Toscana, sugli Appennini, le coccole vengono raccolte con il tradizionale metodo della battitura. Con le coccole si aromatizzano le acquaviti di cereali, ottenendo il famoso 'gin' e si usano per insaporire pietanze di carne alla griglia.
Al Ristorante Benito di Orentano usano le bacche di ginepro per insaporire la carne
LAVANDA
La lavanda cresce spontanea o viene coltivata. È un arbusto alto fino a un metro le cui sommità fiorite si usano in medicina e in profumeria. L’olio di lavanda è impiegato in profumeria, nell’industria dei saponi e in medicina come stimolante; è anche un repellente per insetti. La lavanda cresce senza particolari difficoltà in terreni esposti al sole e al vento, non ama i ristagni d’acqua. Per la raccolta si procede raccogliendo tutte le sommità dotate di fiori che di norma vengono utilizzate dopo un procedimento di essicazione, da effettuare in un luogo chiuso, fresco, ombreggiato e molto ventilato per favorire un procedimento rapido che porti risultati ottimali. Se tutto procede bene le spighe floreali avranno la capacità di mantenere molto a lungo il proprio profumo. I fiori di lavanda vengono quindi utilizzati per confezionare dei sacchetti profuma biancheria. Il nome latino è in italiano il gerundio di lavare. Il fiore della lavanda veniva usato per profumare l‘acqua per le abluzioni quotidiane, era già in uso ai tempi dei Romani durante il bagno. Nel linguaggio dei fiori la lavanda indica diffidenza, perché si riteneva che fosse la pianta preferita dai serpenti. Nel Medioevo e nel Settecento veniva cosparsa sul pavimento per profumare l’ambiente e respingere i parassiti. Oltre che in cosmetica si può usare anche in cucina, facendo tantissima attenzione alle dosi per evitare l’effetto saponetta!
La lavanda viene coltivata anche in Toscana
OLIVE
Tra le piante più caratterizzanti del tipico paesaggio toscano, c’è senza dubbio l’olivo. Anzi, gli olivi, visto che non si tratta di un’unica varietà olivicola (i più tecnici dicono “cultivar”) ma che sono addirittura 119! Ovunque in Toscana si produce olio. Chi non è così fortunato da possedere un’oliveta, conosce qualcuno che ce l’ha o ha l’amico dell’amico che fa l’olio buono! Sebbene ogni zona abbia il proprio cultivar “tipico”, quelli più comuni in Toscana sono il Leccino, il Moraiolo e il Frantoio. Gli olivicoltori hanno due possibilità: produrre oli monovarietali, da un solo tipo di olivo oppure miscelare le olive di varietà diverse. Qualche tempo fa ho partecipato a un assaggio di olio, così come si fa con il vino, adesso sta diventando più comune la voglia di essere informati sulla effettiva qualità del prodotto e di saperlo riconoscere correttamente. I 3 cultivar più diffusi hanno caratteristiche diverse che li porta ad abbinamenti diversi. L’olio Leccino ha un odore molto vegetale e speziato, quindi viene suggerito per accompagnare piatti tendenti al dolce, per esempio una vellutata di ceci e gamberi del Tirreno. L’olio Moraiolo ha delle note amarognole e di pepe, quindi ben si sposa con piatti “ruvidi”, come la classica ribollita toscana, i crostini di fegatini e cavolo nero, o pasta ripiena di erbe di campo condita con ragù di carne. L’olio Frantoio, amaro e speziato si abbina molto bene con la carne alla brace. Sono solo consigli, utili per iniziare ad appassionare chi si avvicina all’olio “quello buono”. Come vediamo ovunque in Toscana, gli oliveti da noi sono raramente “piantagioni” in pianura, tutte ordinate e geometriche, sono spessissimo in zone difficili da raggiungere anche con un semplice trattorino, magari per le pendenze un po’ troppo accentuate. Questo porta a non poter usare troppi macchinari per la raccolta, quindi anche a un prezzo di mercato più alto se confrontato con un olio pugliese, per esempio. Gli olivicoltori sono sempre in apprensione e la domanda regina ogni anno è “quando raccolgo?”. Pioverà? (Non si raccolgono le olive quando piove.) Si stacca bene l’oliva, senza resistenza? E se poi perdo i frutti a causa di venti troppo forti? Se viene un brusco calo di temperatura? Chi vuole andare sul classico sa che le condizioni ottimali per la raccolta è quando le olive sono nere, magari anche un pochino avvizzite dai venti di tramontana. La raccolta avviene battendo i rami e facendo cadere le olive sui teli stesi sotto le piante di olivo. Il massimo della tecnologia per i raccolti casalinghi è farsi prestare dal vicino un attrezzo che si chiama scuoti olive o abbacchiatore, che agita i rami e facilita la caduta delle drupe.
Questa sono io, Tiziana, che colgo le olive nel giardino privato di Villa Maura
Olive in salamoia
Ok, le olive. Ma quelle che si mettono in alcuni cocktail che olive sono? Posso cogliere un’oliva e metterla nel bicchiere? Giuro che questa domanda mi è stata davvero rivolta molti anni fa, tanto che credevo di non aver capito bene! Beh, no. Il procedimento è (parecchio) più lungo! Prima di tutto le olive vanno deamarizzare. Se provate ad assaggiarle crude, vi renderete conto che le olive sono troppo amare. Dobbiamo immergere le olive in un recipiente colmo d’acqua, fino a coprirle tutte. Piano piano l’acqua assorbirà l’amaro. Ricordiamoci di cambiare l’acqua 2 volte al giorno per un paio di settimane. Fatto questo possiamo procedere con la salamoia. Bolliamo acqua con l’8% di sale e facciamo raffreddare completamente. Mettiamo in un recipiente con il tappo le olive e la salamoia, senza chiudere perfettamente il coperchio ma lasciando il barattolo a riposo al buio per un mese. Ripetiamo lo stesso procedimento con la salamoia al 10% e riposo al buio per un altro mese. Ancora una terza salamoia, questa volta con acqua con il 6% di sale. Dopo un mese al buio saranno pronte per essere gustate.
PANE SCIOCCO
“Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui”. Così Dante scriveva nel XVII canto del Paradiso per indicare come sarà dura la vita in esilio fuori dalla Toscana, dove il pane è salato. Un cibo che lascia spesso interdetti i non toscani è il pane sciocco. Alcuni proprio ci restano male! Ci sono molti tipi di pane, in Toscana il pane più famoso è il pane di Altopascio. Il Pane di Altopascio Tradizionale è prodotto senza lievito; per la lievitazione è utilizzato un impasto particolare detto “la sconcia” che è prodotto quotidianamente. I pani hanno forma a “bozza” o a “filone”, mollica morbida e crosta croccante di colore chiaro e dorato. Come mai il pane toscano è sciocco? Come tutte le leggende che si perdono nella notte dei tempi, le versioni sono le più disparate. Una, che più che spiegarne l’origine ne esalta le conseguenze è che con il “pane sciocco” faccia risaltare una cucina toscana tipica ricca di sapori robusti, quindi il pane accompagna in modo neutro un ingrediente principale, come un salume, particolarmente saporito. Altri propendono per una causa storica, figlia di una delle molteplici rivalità senza cui i litigiosi toscani non sanno stare. Nel XI secolo Pisa iniziò ad aumentare le tasse per il sale che arrivava nel porto cittadino, bloccando così il commercio con Firenze. I fiorentini, per ripicca, scelsero di fare senza il prezioso sale e iniziarono a non usarne per sfornare il pane. In generale, il sale, sia marino che di miniera è sempre stato un prezioso conservante, quindi che fosse una questione di soldi è probabile.
PATATA
Portata dalle Americhe fin dai primi del ‘500, la patata non ha subito riscosso successo. È molto difficile crederlo oggi ma agli inizi della sua introduzione in Europa, la patata era vista con diffidenza e rilegata a cibo per maiali. Era consumata solo quando non c’era di meglio e malvista perché cresce sotto terra. Poi si è capito che era un riempi pancia economico e oggi possiamo addirittura consumare un intero pasto tutto a base di patate: pane alle patate, antipasti (polpettine o torte rustiche), primi (tortelli alla lastra, tipici delle zone di confine tra Toscana e Emilia Romagna, tortelli di patata tradizionali del Mugello e del Casentino o i classici gnocchi), secondi (in provincia di Grosseto si producono salsicce ripiene di patate e maiale da consumare fresche spalmate sul pane o cotte in padella con fagioli e salvia oppure una semplice frittata con le patate), contorni (patate fritte, lessate, arrostite, alla brace, in umido…), dolci (torte di patate, senza farina), bevande (c’è una birra Strong Ale realizzata con malti pregiati, farro bio e patata rossa di Cetica). C’è perfino una conserva vegetale dolce, una marmellata di patate fatta da patate Monalisa e ideale per accompagnare pecorini stagionati e paste fritte!
Questo tubero può avere la buccia rossa, gialla, bianca e pasta gialla, bianca, addirittura viola!
Fra le varietà coltivate in Toscana:
- Patata bianca del Melo (prodotta a Melo, nel comune di Abetone Cutigliano, Pistoia)
- Patata bianca di montagna (area mugellana)
- Patate di montagna Sillano (vicino Piazza al Serchio, Lucca)
- Patata di Regnano (Lunigiana)
- Patata macchiaiola (prodotta in Maremma, vicino al Monte Amiata e Monte Labbro)
- Patata rossa di Cetica (Casentino)
- Patata Tosca (prodotta a Santa Maria a Monte, Pisa dove ogni anno c’è anche la sagra della patata)
- Patata di Zeri (Lunigiana)
La patata Tosca, coltivata a Santa Maria a Monte
TARTUFO BIANCO, TARTUFO NERO e TARTUFO MARZUOLO
Il tartufo è un fungo ipogeo (cioè che vive sottoterra) dall’aspetto di un tubero, che vive in simbiosi con le radici di alcune piante. Ha un rivestimento, il peridio e una massa, detta gleba. È costituito in alta percentuale da acqua, fibre e sali minerali, sostanze organiche fornite dall’albero (più comunemente tiglio, nocciolo, carpino e pioppo) con cui vive in simbiosi. Il suo aspetto dipende dal tipo di terreno in cui si sviluppa: un terreno morbido favorirà la crescita di un tartufo a forma tondeggiante, mentre un terreno duro, pietroso o con molte radici, ne favorirà una forma bitorzoluta.
Tra i tanti pregi del tartufo, quello di essere una vera e propria “sentinella ambientale”: non tollera infatti l’inquinamento e quant’altro sia dannoso alla natura. Il tartufo bianco cresce tra le radici di alberi come: farnia, cerro, rovere, roverella, pioppo nero, pioppo bianco, pioppo Carolina, pioppo tremulo, salicone, salice bianco, tiglio, carpino nero, nocciolo. Le piante sotto cui può nascere il tartufo nero sono: roverella, leccio, cerro, tiglio, nocciolo, carpino nero e cisto. Tra il tartufo e la pianta c’è una simbiosi, uno scambio reciproco: il tartufo porta alla pianta acqua e sali minerali, la pianta fornisce zuccheri al tartufo. I tartufai vanno sempre per boschi perché non è possibile trovare un tartufo che non sia nelle immediate vicinanze delle radici di una pianta!
Storia e zona di raccolta
Già in epoca Romana i tartufi erano conosciuti. Secondo le leggende, il tartufo cresce dove Zeus ha scagliato un fulmine (in effetti, la stagione secca è nemica del tartufo e all’epoca i tartufi si trovavano in special modo vicino alle piante di quercia, spesso colpite dai fulmini). Come tutti i cibi dall’origine incerta o di difficile reperibilità, al tartufo vengono attribuite virtù afrodisiache, finora non confermate dalla scienza. Il tartufo bianco è molto diffuso in Umbria, in Piemonte, in Toscana e nelle Marche. Il tartufo nero è diffuso nell’Appennino Centrale, in Piemonte e in Veneto. Un antico detto popolare della campagna samminiatese, dice che “fra Doderi, Montoderi e Poggioderi c'è un vitello d'oro”. In quel triangolo nella Valdegola sta il cuore della zona tartufigena samminiatese. Dal 1970 in autunno si tiene la Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato, mentre a marzo a Cigoli, patria dell'omonimo pittore, tra i padri del Manierismo, é possibile assaggiare il tartufo marzuolo alla Mostra Mercato del Tartufo Marzuolo. Da segnalare per il tartufo anche le zone di San Giovanni d’Asso (Montalcino) e San Quirico d’Orcia.
Uno scatto alla Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato (l'edificio che si vede dietro è il Seminario, dove ho frequentato le scuole superiori!)
Commercializzazione e Gastronomia
Nei tempi antichi si utilizzava un maiale per individuare il posto dove scavare alla ricerca del tartufo (e poi bisognava stare attenti che il goloso suino non lo mangiasse!). Adesso i compagni di avventura dei tartufai sono cani, come il Lagotto, di taglia medio piccola visto l’ambiente, il sottobosco, in cui devono cercare. Una volta che il cane ne ha segnalato la presenza nel terreno, sta al tartufaio procedere con cura per estrarre il tartufo a mano. Per proteggere il delicato ambiente in cui crescono i tartufi, esiste un calendario regionale di raccolta, che può essere effettuata solo da coloro che hanno conseguito il tesserino a seguito di un esame. Una volta tolto il prezioso tartufo, il terreno deve essere rimesso a posto con cura.
Qualcuno dice che il tartufo nero è un ingrediente, quello bianco un condimento.
Il tartufo nero viene usato in particolar modo nei piatti di carne. Il più semplice è a lamelle su una buona bistecca. Viene anche cotto, usato per scaloppine e polpette, ma lo trovo mortificante. Un ingrediente così merita di essere sempre valorizzato.
Il tartufo bianco va consumato crudo affinché non perda il suo particolare aroma distintivo. Il modo migliore per godere del suo aroma è affettarlo a crudo in sottili sfoglie sulle pietanze ancora calde, così che il calore faccia sprigionare delle sue essenze. Il suo abbinamento ideale è con i cibi grassi ma non siano troppo sapidi. Quindi via libera a burro, formaggi e fondute, magari usando sformati e polente come base. Semplice ma intramontabile l’abbinamento con l’uovo fritto. Ottime idee anche sulla carne cruda battuta al coltello o tagliolini al burro.
Prezzo
Il tartufo è costoso, perché? Ogni tanto si legge di prezzi astronomici: “tartufo bianco di Alba a 9000 euro al chilo” oppure “tartufo bianco pregiato di un chilo e mezzo, venduto per 160.000 dollari”. Come abbiamo visto, i tartufi sono molto rari, non si possono coltivare (esistono coltivazioni tartufi coltivati che non hanno assolutamente lo stesso aroma di quelli cresciuti spontaneamente) e il mercato ne richiede più di quelli che vengono trovati. Ci vogliono tutte le condizioni ideali, del terreno, della stagionalità, del meteo. In condizioni di poca umidità, il tartufo cresce più in profondità, preservando sì maggiormente il proprio aroma ma rendendolo più difficile da trovare e da estrarre. Allevare e addestrare un cane da tartufo richiede anni. Poi il tartufo, una volta cavato, inizia a perdere acqua, quindi peso.
I tartufi bianchi commestibili sono di due tipi:
Tartufo Bianco Pregiato conosciuto anche come Tartufo bianco d’Alba, periodo di raccolta da Settembre a Gennaio – Tuber Magnatum Pico – il più pregiato, il più costoso, il più apprezzato. A seconda delle annate e dei raccolti, i prezzi possono facilmente superare i 3.000 euro al chilo;
Tartufo Bianchetto o Marzuolo - Molto meno pregiato e apprezzato, costa anche 10 volte meno rispetto al suo cugino più famoso;
I tartufi neri commestibili sono molti di più e può essere ancora più difficile distinguerli:
Il nero Pregiato di Norcia (analogo al Périgord francese) – è il più pregiato di questa categoria e ha prezzi importanti;
Tartufo Uncinato – Scorzone Invernale: molto meno pregiato del Norcia e utilizzato in genere all’interno di creme e preparati; ha scarso valore commerciale;
Tartufo Brumale – Moscato: un altro tartufo nero di scarso valore commerciale, che trova grandissima applicazione nell’industria alimentare;
Tartufo Nero Liscio: si trova molto difficilmente sui mercati, essendo ad appannaggio quasi esclusivo di un manipolo particolarmente ristretto di appassionati;
Il Nero Ordinario – detto anche di Bagnoli Irpino; un tartufo che sta vivendo una seconda giovinezza e che comincia ad essere apprezzato anche al di fuori della sua area tipica di raccolta, dove entra a far parte di moltissime ricette tradizionali;
Tartufo Nero d’estate conosciuto anche come Tartufo Scorzone, periodo di raccolta da Maggio a Dicembre: altro tartufo molto bistrattato, che però si sta lentamente affermando all’interno della categoria. Costa molto meno del Nero Pregiato (ed è anche meno utilizzato in cucina).
ZAFFERANO
Cos'è lo zafferano
Lo zafferano è una spezia ottenuta dalla tostatura degli stimmi del fiore di Crocus Sativus Linnaeus, una pianta che appartiene alla famiglia delle Iridacee, della stessa famiglia degli iris! Il Crocus è un piccolo fiore di colore rosa-violaceo con sei petali. All’interno della sua corolla uno stilo si divide in tre fili (stimmi) di colore rosso scarlatto, che vanno a costituire lo zafferano propriamente detto. I filamenti rossi contengono la sostanza, che si chiama crocina, che tinge di giallo e conferisce il caratteristico sapore. Si coltiva su un terreno con una buona percentuale di calcare attivo, di sostanza organica e di potassio che viene appositamente preparato e poi lasciato a riposo da novembre ad agosto. In primavera si ottengono due nuovi bulbi del bulbo che ha germogliato l’anno precedente. In agosto, i bulbi migliori vengono piantati vicinissimi tra loro, a fila unica o doppia. Il ciclo produttivo esclude l'impiego di qualsiasi additivo chimico. La raccolta viene effettuata manualmente, durante il periodo di fioritura che va dalla metà di ottobre alla prima settimana di novembre, tutte le mattine all’alba, per evitare che il sole faccia aprire i fiori. La sera stessa si separano a mano gli stimmi dagli stami che vengono subito essiccati su brace di legna di quercia o mandorlo.
Storia e zona di produzione dello zafferano
Lo zafferano era molto diffuso tra i popoli antichi, già Egiziani, Greci e Romani lo usavano in campo medico, cosmetico e religioso. Serviva per colorare le vesti, per preparare unguenti e profumi, per tingere le bende delle mummie. In Persia era considerato un antenato del Viagra. Nella mitologia greca si narra del bel mortale Croco, che si innamorò della ninfa Smilace, un amore passionale ma impossibile. Gli Dei quindi trasformarono Croco nella pianta dello zafferano, fiore dal cuore rosso passione e Smilace in quella della salsapariglia, pianta che ha le foglie a forma di cuore ma rami spinosissimi... Secondo i Romani Mercurio aveva sbagliato mira lanciando un disco e colpito mortalmente l’amico Crocus. Addolorato, colorò del suo sangue il fiore dello zafferano a eterna memoria. Le spose dell’antica Roma, in una tradizione giunta fino al Medioevo, portavano dei veli tinti con lo zafferano, forse per le proprietà afrodisiache possedute dalla spezia. Dopo l’invasione araba della Spagna, il conseguente dominio dei Saraceni portò a una diffusione ancora maggiore di questa spezia in tutto il Mediterraneo. Gli Spagnoli cercarono di monopolizzarne la coltivazione emanando leggi molto severe, tanto che chi cercava di esportare i bulbi fuori dal paese rischiava la vita. Secondo alcune fonti già dopo il 1200 a San Gimignano era regolamentata la vendita dell’“Oro rosso”. Sicuramente la posizione sulla Via Francigena (che passa anche da Fucecchio) favoriva il passaggio di persone e merci. Sembra che il commercio fosse così florido da permettere a dei mercanti la costruzione di alcune delle famose torri e che nel 1400 fosse usato come moneta di scambio. Attorno al XIII-XIV secolo, tale Cantucci o Santucci, un monaco benedettino abruzzese riuscì a portare dei bulbi nel paesino abruzzese di Navelli nascondendoli nell’incavo del bastone da viaggio. A Navelli lo zafferano ha trovato un habitat favorevole, tanto che la coltivazione dell’“Oro rosso” ha contribuito allo sviluppo della città dell’Aquila, nella regione Abruzzo. Adesso le regioni italiane maggiori produttrici di zafferano sono Marche, Abruzzo, Sicilia e Sardegna ma si trovano coltivazioni in Umbria, Toscana e Basilicata. In Toscana viene coltivato in particolar modo nella zona di San Gimignano, in Val d'Elsa e Val d'Orcia. In Toscana, Signa è la città dello zafferano, che viene coltivato anche a Fucecchio, a nemmeno 5 km da La Scuola di Furio, a Massarella. Questo è il link al sito.
Commercializzazione e Gastronomia
Lo zafferano si conserva facilmente in contenitori di vetro, al riparo da luce e umidità. Se ben conservato, mantiene le sue caratteristiche organolettiche anche per diversi anni. Spezia di grande pregio e ricercatezza, viene usato per valorizzare ed aromatizzare il sapore di molti piatti tipici della gastronomia italiana. Essendo molto versatile si usa nel pane, nel tradizionale "risotto alla milanese", per secondi piatti come le "costatine di agnello allo zafferano", in contorni come la purée di patate e perfino dolci come il pangiallo romano (antico dolce rustico che si preparava in occasione del solstizio d’inverno per auspicare il ritorno del sole) e creme.
Per utilizzare al meglio lo zafferano in fili, il più pregiato, bisogna farlo rinvenire mettendolo a bagno in poco brodo caldo o acqua di cottura per qualche ora. Lo zafferano già in polvere è più veloce da usare, si può aggiungere anche a fine cottura. Calcoliamo circa dieci centigrammi di questa profumatissima spezia per quattro persone.
Prezzo
Lo zafferano è caro? Perché è così costoso? Il suo prezzo è giustificato? Beh, se pensiamo che per produrre un chilogrammo di zafferano sono necessari circa 200.000 fiori e ben 500 ore di lavoro, forse sì!